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Scorsese e la perdita del centro

di Davide Rondoni

 

Andate a vedere «The Departement». Il film tutto azione e grandi interpreti che ha però un sottotitolo che già fan pensare: «il bene e il male». In America, dove ha raccolto enorme successo, il sottotitolo originale è «sbirro o criminale?». Ma il senso resta quello. Di che parla, infatti, questo film che il regista maestro nel raffigurare la vita di strada ha voluto «vero, onesto e intellettuale»? Parla di noi. Di come bene e male si stanno confondendo. Pericolosamente. Quando hai una pistola puntata in faccia, dice il protagonista, che differenza fa che tu sia un poliziotto o un bandito? Come dire che in un'epoca in cui la vita si sente minacciata, dove corre la differenza tra il bene e il male? Non è forse vero che, per molti motivi, sociali, culturali, geopolitici, ci sentiamo una generazione insicura, in pericolo? Oggi molto male si spaccia per bene. E addirittura parlare di una differenza tra bene e male è difficile.

Per fortuna ogni tanto arriva un regista. Uno che ci fa vedere meglio il mondo dove viviamo. Ci racconta una storia magari lontana da noi, e che però ti fa capire di più cosa sei diventato. Scorsese ha ripreso un film cinese di qualche anno fa. E grazie anche al lavoro dello sceneggiatore William Monahan, irlandese d'origine, ha creato un gran film. La trama è semplice e complicata al tempo stesso. Alta tensione e di colpi di scena, intreccio di spie e controspie, di infiltrati e di omicidi. Tutto condito con durezza di linguaggio e sostenuto dalla forte, bellissima prova di Jack Nicholson, Leonardo Di Caprio, Alec Baldwin, Matt Damon e Martin Sheen. Il film all'inizio e alla fine propone lo sguardo sulla cupola di una parrocchia. E all'avvio, Jack Nicholson, il boss Costello, istruisce un suo giovane protetto sul fatto che una volta c'era la Chiesa, e questo ci faceva stare e sentire uniti. Poi, secondo il boss, ci si è stancati di mettersi in ginocchio o in piedi quando te lo dicevano loro, i preti. E da quella uscita dalla Chiesa inizia una vita fatta di poche regole chiare e feree: primo, darsi da fare da solo per farsi una posizione. E, secondo, nessuno ti regala niente e devi prenderti quello che vuoi.

Il film racconta della ascesa di due tipi intraprendenti, che entrano in polizia. Due ragazzi dal passato difficile che vogliono dimostrare a se stessi di valere qualcosa. L'uno fa lo spia per conto del boss dall'interno del comando di polizia. L'altro, al contrario, è infiltrato dai suoi capi poliziotti nella banda del boss. Tutto sembra condannato alla doppiezza. Alla finzione continua. A scambiare il bene col male. Quello sguardo alla cupola d'oro, di una modesta parrocchia nel ventre della città è destinato a perdersi. Si fa spazio uno sguardo calcolatore, cinico e spietato. La vita procede tra ricatti e psicofarmaci, tra gusto dei soldi e del potere. Non mancano, da parte del regista di formazione cattolica Scorsese, battute sugli scandali che han coinvolto alcuni presuli in casi di pedofilia. Al che un prete risponde che il montare in orgoglio dell'accusatore è inizio della rovina. Profezia per la Chiesa? O per l'America? In mezzo al vortice di violenze e doppiezze, ci sono due che, a dire il vero, non sono come gli altri. Non tradiscono. Finiranno ammazzati come gli altri, in un circo di sangue. Ma la loro morte suscita un senso di ingiustizia più forte. Un richiamo di bene. Lo capisce la donna protagonista, che ha un figlio in pancia, e noi con lei. Alla fine lo sguardo che torna su quella cupoletta dorata, per una nostalgia insopprimibile, è un segno che pochi comprendono. Ma che il regista non ha messo a caso. Lo ha sempre dichiarato. Per chi lo comprende è un invito a non consegnare il futuro alla doppiezza violenta.

 

Avvenire, sabato 18 novembre 2006