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L'«Incantesimo» che ha colpito i politici e il New York Times

di Mirella Poggialini

 

Le polemiche che si sono aperte in questi giorni, quanto alla possibile sospensione della soap opera Incantesimo (giunta al suo nono anno su Raidue e ricca di una messe di fedeli spettatori, pur nel calo degli ascolti) fanno riflettere sul fascino tenace che lega l'utente tv a un genere televisivo quanto altri mai, la soap appunto. Il caso Incantesimo è persino approdato sulle pagine del New York Times, stupito soprattutto dalla discesa in campo, a sostegno della soap, di molti politici sia della maggioranza sia dell'opposizione.

La posta dei lettori sulle riviste specializzate e i blog su Internet svelano una incredibile attenzione a questi prodotti televisivi, caratterizzati dalla serialità, vale a dire dalla continuità temporale degli eventi che quotidianamente si propongono nei trenta minuti canonici della puntata. Così che gli eventi che vengono narrati diventano quasi un mondo parallelo, second life (tanto per citare l'ultimo fenomeno mediatico di massa) nelle quali di volta in volta le spettatrici - ma non solo loro - finiscono per identificarsi saldamente. È la cosiddetta fidelizzazione, l'aggancio a un programma che diventa quasi una dipendenza: per la pervasività di un'adesione - ai personaggi, alle situazioni - in cui chi assiste finisce per sentirsi parte effettiva delle storie raccontate. E non conta che spesso le sceneggiature appaiano lambiccate o improbabili: è importante che ogni piccolo mondo (e ogni soap lo diventa) sia accattivante e coinvolgente, che i sentimenti espressi, a volte anche rozzamente, siano forti e densi di pathos, che i protagonisti abbiano caratteri semplici ma fortemente abbozzati. È la traduzione attuale del feuilleton, in cui la semplicità e persino la povertà degli elementi era propizia alla fedeltà del lettore, anziché disorientarlo: e insieme alle soap si possono citare, per la grande fortuna che hanno incontrato nel pubblico televisivo, i telefilm, che hanno, sì, la caratteristica di proporre ad ogni puntata vicende compiute, ma presentano protagonisti che appaiono ogni volta fedeli a se stessi, creando una sorta di abitudine-fedeltà nello spettatore. Che, di volta in volta, si appassiona di un genere e di una storia, e la segue al di là dei tanto deprecati ma frequenti cambiamenti di orario, di rete, di programmazione.

Regine fra le soap programmate in Italia sono Sentieri, nato per la radio negli Usa nel 1937 e poi passato in tv nel 1952: su Retequattro alle 16 contende il primato degli ascolti alla vincente Beautiful che ha superato le cinquemila puntate e appare su Canale 5 alle 13.45, aprendo la sfilata delle tre soap più seguite (le altre sono Centovetrine e Vivere). Storie complicate e inverosimili, intrecci di amori e tradimenti da seguire con la mappa, personaggi che improvvisamente scompaiono oppure interpreti che bruscamente si sostituiscono. Il che non tocca lo spettatore fedele, non gli impedisce di immedesimarsi. E sono in buona fede, perché la fidelizzazione delle soap e delle serie ha il dono di far vivere chi le segue in una vita alternativa, sia pur per un tempo breve, garantito però dall'appuntamento quotidiano: e diventano cartina di tornasole di emozioni e nostalgie, ricordi o speranze che i "fedeli" prendono in prestito per accentuare la loro stessa emotività. Specchio di una società che isola e chiude, malgrado il pullulare di cellulari e sms? Che inaridisce i sentimenti pur lasciandone il desiderio? Non tocca al critico la risposta…

 

Avvenire, 7 settembre 2007