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Al cinema si cambia: tornano le grandi domande

Al festival di Cannes la svolta anti-hollywoodiana

di Gigio Rancilio

 

«Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio», ripeteva Fellini. Lui, da bravo romagnolo, amava esagerare sempre un po'. Ma il nocciolo della sua filosofia è più che mai attuale: fare grande cinema significa misurarsi con le vite degli uomini, con le loro gioie e con i loro drammi. Guardarli, amarli, raccontarli e portarli sullo schermo con tutta la forza e la pietà necessarie. Perché fare cinema è creare respiri di vita. O almeno così dovrebbe essere.

Peccato che i canoni hollywoodiani degli ultimi decenni, oltre a regalarci dei kolossal fantastici e divertentissimi, ci abbiano abituati a "pesare" i film. Non ci chiediamo più se sono belli, ma quanti effetti speciali hanno, quanto sono costati e in quante sale escono. E più ne hanno e più, ovviamente, «sono imperdibili». Ben venga allora Pirati dei Caraibi che con le sue mille copie ha invaso da venerdì i cinema italiani, ma si sappia che qualcosa (almeno nel cosiddetto cinema d'autore) sta cambiando.

Prendete il Festival di Cannes, appena terminato. I vincitori non sono solo film a basso costo, ma lavori che hanno affrontato con coraggio grandi temi. I punti nevralgici del nostro vivere: il dramma dell'aborto (4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, il valore della vita davanti anche all'handicap più grave (Lo scafandro e la farfalla), le difficoltà dell'autentico perdono cristiano (Secret Sunshine), i sensi di colpa dopo un omicidio accidentale (Paranoid Park), la morte (Stellet Licht) e il peso schiacciante di certi lutti familiari su chi resta (The Mourning Forest).E scusate se è poco. «Ho messo in scena con estrema crudezza il dramma di un aborto - ha dichiarato il regista Mungiu, vincitore della Palma d'oro - perché credo sia più che mai necessario un dibattito morale attorno a certe questioni. Invece in Romania come nel mondo Occidentale si è fatto di tutto per cancellarlo». Parole accolte con imbarazzo da molti giornali laici. Per i quali l'aborto è sicuramente un dramma, ma il dibattito mo rale... forse non è il caso. Fossimo stati alla Mostra di Venezia sarebbe scoppiato un putiferio.

Anche per il film Lo scafandro e la farfalla, autentico inno alla vita, che racconta la storia vera di un giornalista francese colpito da ictus che dalla sera alla mattina si risveglia potendo muovere solo una palpebra. E dopo l'immancabile crisi con tanto di tentazioni eutanasiche, con quell'unica palpebra funzionante detta un libro dove racconta quanto sia bello, nonostante tutto, vivere. Certo, il Festival di Cannes è stato anche mercato, soldi, feste, yacht, vip e superficialità a go-go. Ma la sua giuria quest'anno ha mandato un segnale inequivocabile a tutto il cinema: chi non fa parte del mondo hollywodiano, se vuole sopravvivere, deve tornare a confrontarsi con le grandi domande della vita. Senza paure e senza preconcetti.

 

Avvenire, 29 maggio 2007