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Il caso - Hollywood: c'è fede tra le star

di Alessandro Zaccuri

 

È in crescita il movimento che vorrebbe presenze cristiane più incisive nel cinema e nella tv Usa. Attori, sceneggiatori e produttori impegnati nel realizzare storie con una «teologia nascosta». E con risultati non sempre «buonisti» e apologetici... Il rilancio del religioso si è giovato delle trilogie di Narnia e Tolkien, oltre alla «Passione»di Gibson. Ma uno studio appena tradotto in Italia ripropone tuttavia il paradosso:spesso i migliori film spirituali sono fatti da non credenti.

È l'altra faccia di Hollywood, e non è Babilonia. Neanche la Gerusalemme celeste, però in qualche modo ci prova. Alternando scrupoli e compromessi, colpi di genio e trucchi del mestiere. E, più che altro, lasciando che diverse sensibilità religiose convivano tra loro nel tentativo di portare una testimonianza cristiana nel più improbabile degli ambienti: quello del cinema e delle serie televisive, appunto.

Fede e professionalità sono le caratteristiche distintive di Act One, il progetto faith-based - come si dice da quelle parti - nato nel 1999 con l'obiettivo di rendere più incisivo il contributo della comunità cristiana all'interno dell'industria cinematografica e televisiva statunitense. Una comunità che si rivela oggi molto ampia e sfaccettata, come dimostra ora Cristiani a Hollywood. Testimonianze & riflessioni dalla capitale del cinema (Ares, pp. 240, euro 14), un libro che raccoglie le voci di numerosi partecipanti alle attività di Act One, a partire da quelle dei curatori Spencer Lewerenz e Barbara Nicolosi. Quest'ultima, insieme con il critico Beppe Musicco e lo studioso Armando Fumagalli - autore anche della postfazione all'edizione italiana - presenteranno questa sera alle 18.30 il volume presso la Libreria Archivi del '900 di via Montevideo 9 a Milano.

Cristiani a Hollywood, dunque. Ma per fare che cosa? Anzitutto per raccontare storie. Act One, non a caso, raccoglie principalmente sceneggiatori e produttori, figure spesso defilate, ma in realtà decisive nel determinare l'assetto finale di un prodotto. Perché pur sempre di prodotti stiamo parlando, in una prospettiva pragmatica che rappresenta forse uno degli aspetti forse più provocatori e interessanti di questa raccolta di saggi. Prendiamo il caso di Sheryl Anderson, autrice delle prime serie del controverso telefilm «Streghe». Il fatto di essere una cristiana devota non le impedisce di allarmarsi quando scopre che una delle attrici che ha partecipato alla realizzazione della «puntata pilota» sta meditando di abbandonare il set proprio per motivi religiosi. «Era scoraggiante pensare al colpo finanziario e logistico che avrebbe subito il programma», ammette la Anderson, non senza nascondere come i dubbi dell'attrice siano presto divenuti anche i suoi. Se lei, al contrario, non ha disertato il progetto, è stato per perseguire un disegno di stealth theology, la «teologia nascosta» che nell'originale viene definita attraverso la stessa terminologia in uso per i bombardieri invisibili ai radar.

Troppo americano? Può darsi, eppure in Cristiani a Hollywood c'è molto da imparare e molto più su cui riflettere. Aneddoti strepitosi, come quello riferito da Karen Covell, direttrice dell'Hollywood Prayer Project: a dir poco imbarazzata dall'idea di dover collaborare a uno speciale su Hugh Hefner, il fondatore dell'impero di Playboy, in quella stessa occasione si accorge che tra i suoi colleghi ci sono molti più credenti di quanto avesse mai sospettato. Insieme con loro, realizza un'intervista fuori dagli schemi, in cui perfino il sulfureo Hefner rivela un'inattesa nostalgia di spiritualità.

La domanda più radicale, che riecheggia in molte pagine del libro, viene invece pronunciata dallo sceneggiatore Thom Parham: «Perché i migliori film cristiani sono fatti da pagani?». Certo, non mancano le eccezioni, la più clamorosa delle quali rimane La Passione di Cristo di Mel Gibson (che pure, in alcuni contributi, viene considerata come occasione mancata, con scandali e polemiche che hanno finito per prevalere sulle intenzioni del regista), ma resta il fatto che troppo spesso cineasti armati di ottime intenzioni apologetiche finiscono con il realizzare pellicole tutt'al più mediocri, secondo la benevola definizione della stessa Barbara Nicolosi.

Da qui il paradosso, sottolineato dallo specialista Leo Partible, per cui i film tratti dai fumetti di supereroi pullulano spesso di riferimenti evangelici, come nel caso della trilogia ispirata alle avventure degli X-Men. E, sempre in tema di trilogie, un ruolo rilevante nella rinascita cristiana di Hollywood è occupato dal successo del Signore degli anelli e dalla conseguente trasposizione cinematografica delle Cronache di Narnia di C.S. Lewis, la saga fantasy nella quale il messaggio religioso è espresso in modo ancora più esplicito rispetto al capolavoro di J.R.R. Tolkien.

Eppure, nonostante tutto, i cristiani di Act One hanno gusti sorprendenti e anticonvenzionali. In televisione, per esempio, pur senza disprezzare la programmatica spiritualità di serie come Joan of Arcadia e Touched by an Angel, prediligono i foschi conflitti carcerari di Oz. Una storia piena di delitti, relativi castighi e possibili redenzioni. Se non è una parabola questa…

 

Avvenire, 21 marzo 2007